Stato, capitale e pandemia

In questi giorni tutto il circo mediatico è concentrato sul tema della “riapertura” ed il clima è quello della fine di un incubo; certo, i contagiati ed i morti ci sono ancora ma in netta e progressiva diminuzione – come la tarda primavera ed estate scorsa, stavolta però con la novità dei vaccini che dovrebbero impedire una ulteriore ondata, anche tenendo conto delle possibili varianti. Ovviamente siamo contenti della cosa e ci auguriamo fortemente che la cosa vada avanti in questi termini; tutto questo, però, non ci impedisce di fare un’analisi di ciò che è successo finora.

Innanzitutto un’analisi della mortalità tra la prima e le successive ondate. Da marzo a settembre 2020 i morti sono stati 36.151;[1] da ottobre ad oggi (scrivo queste note il 6 giugno 2021) sono 126.471, 90.320 in più, quasi tre volte tanto.[2] Già a fine dicembre i morti avevano superato quelli della prima ondata,[3] con una progressione spaventosa che è stata interrotta negli ultimi tempi solo dall’avanzamento della copertura vaccinale e dall’arrivo della bella stagione. Certo, la letalità della prima ondata è stata minore delle successive, grazie al miglioramento delle terapie dovuto alla ricerca medica intervenuta nel frattempo; la quantità dei contagiati è stata però nettamente superiore, il che ha portato alla mortalità superiore i cui numeri abbiamo elencato prima. Dati relativi alla situazione italiana ma sostanzialmente paragonabili a quella europea – il resto del mondo ha avuto dinamiche diverse, in primo luogo quella “negazionista”, per cui i dati non sono paragonabili.[4]

Ricapitoliamo allora alcune dinamiche strettamente politiche relative, da un lato, alla gestione politica della pandemia, dall’altro, alla risposta popolare alle mosse governative. Tutti dovremmo ricordare la gestione governativa delle prime fasi della diffusione mondiale della malattia: prescindendo dalla mancanza di una piano emergenziale adeguato ai rischi pandemici, spiegabile – ovviamente però non giustificabile – con una cecità ideologica ai danni intrinseci al capitalismo, i primi atti governativi erano sostanzialmente pannicelli caldi e non andavano molto oltre a delimitate chiusure di zone. Poi, abbastanza rapidamente, tutto è cambiato, con l’applicazione di un lockdown generalizzato ed assai stretto.

Come ricordava Tiziano Antonelli nel numero scorso, la “chiusura degli impianti produttivi, imposta dalle lotte dei lavoratori ed attuata in modo tardivo e incompleto da parte del governo, è stata probabilmente la chiave di volta nella prima fase dell’epidemia, nella seconda fase è stata imposta con misure da operetta ed inutilmente vessatorie, così da spostare l’attenzione su argomenti marginali come il coprifuoco anziché sull’insufficienza delle strutture sanitarie e l’inefficienza dei sevizi pubblici.”[5]

Il dato è proprio questo: di là delle fesserie paranoiche su runners e cose simili, il dato evidente è che i luoghi di lavoro sono gli ambienti massimi di diffusione del contagio, in virtù delle loro caratteristiche di spazi affollati e di lunga permanenza: “ci sono attività che per la loro natura intrinseca sono l’habitat ideale per la diffusione del virus e per la possibilità che uno o più superdiffusori esprimano tutto il proprio potenziale. E sono tutte quelle che si svolgono in luoghi chiusi e affollati, oppure all’aperto con una grande densità di soggetti (per esempio uno stadio) dove le persone parlano ad alta voce, gridano, cantano, oppure praticano attività sportiva. Il fatto che in molti di questi casi si abbassi la mascherina (per esempio per mangiare, bere o fare attività fisica) è un ulteriore moltiplicatore del rischio.”.[6]

Ora, i luoghi di lavoro posseggono tutti questi parametri al massimo grado: come dicevamo luoghi chiusi ed affollati, in cui le persone devono parlare tra di loro e spesso svolgono un’attività fisica dove talvolta si tende ad abbassare la mascherina – il tutto per un tempo certo superiore a concerti, palestre, teatri, cinema, luoghi di ristoro e scuole (dove la densità dei presenti e la tendenza ad abbassare le mascherine, dati i protocolli di sicurezza, sono decisamente molto minori e, se non fosse per la non affrontata questione trasporti, sarebbero luoghi “arcisicuri”).

Arriviamo così alle fasi successive della pandemia. Durante tutta l’estate i governi – non solo quello italiano – non si sono preparati per nulla nella prospettiva di evitare il maggior numero possibile di morti di fronte alla prevedibilissima ondata successiva: si sono preparati, invece, per evitare il più possibile l’interruzione della produzione. Di conseguenza, niente interventi strutturali su trasporti e sanità, una sottovalutazione impressionante della possibilità di un’ondata successiva della pandemia, anzi veniva veicolata l’idea di una uscita definitiva dall’incubo: l’unica cosa che veniva sostanzialmente fatta era un limitato aumento delle terapie intensive.

La logica di tutto ciò è adesso chiara: tranquillizzare il mondo del lavoro per farlo ritornare nei ranghi, puntando sull’aumento dei posti di terapia intensiva – giunti comunque a circa la metà di quanti ne avevamo una quarantina di anni fa – e sulla campagna vaccinale per ridurre i morti. Una scommessa fatta sulla pelle della gente e, visti i fatti, miseramente fallita. Tutti noi abbiamo presente la differenza tra la prima ondata e quello che è accaduto da ottobre 2020 in poi: nonostante la logica evidente che abbiamo esposto sopra, i luoghi di lavoro sono rimasti aperti e sono stati gradatamente ed alternativamente, con la logica delle zone a vari colori, chiusi proprio palestre, teatri, cinema, luoghi di ristoro e scuole, con in più un coprifuoco anch’esso dalla dubbia efficacia, comunque limitata.[7]

I risultati li abbiamo visti: la sommessa è stata persa e l’abbiamo pagata sulla nostra pelle. Il capitale ha limitato le perdite sull’aumento della mortalità generale dovuta all’enorme aumento dei contagi pur in presenza di una minore letalità. Detto per inciso, in qualche modo la cosa è stata di fatto un esperimento che ha mostrato quali sono i maggiori luoghi di contagio in una situazione pandemica e, ancora una volta, l’antagonismo tra forma di produzione capitalistica, privata o “pubblica” che sia, e sopravvivenza della specie umana.

Un’altra considerazione finale. Abbiamo visto in questi tempi una rivalutazione del potere politico come strumento di accentramento delle decisioni necessarie ed universali di fronte ad un evento pandemico, di contro alla libera scelta degli individui e delle scelte comunitarie. A quanto pare, le cose non sono andate proprio così e ridiamo la parola a Tiziano Antonelli: “Alla fine dell’estate 2020, si sapeva che il virus si poteva diffondere velocemente, la scienza ne aveva indagato i caratteri, le modalità di trasmissione, gli effetti sull’organismo. La pandemia poteva essere affrontata con farmaci e attrezzature specifiche, con consolidate valutazioni scientifiche e con il bagaglio di esperienze della prima ondata. Le strutture sono però rimaste inadeguate, si è preferito continuare a mandare gli operatori allo sbaraglio. Le tre aree critiche, la sanità, i trasporti e la scuola sono rimaste prive di interventi e di piani strutturali, senza affrontare il nodo centrale della carenza di personale. Per il secondo anno consecutivo, con una indifferenza criminale, le autorità statali hanno fatto la scelta di privilegiare gli affari, lasciando che il virus portasse via gli improduttivi e le misure di contenimento non ostacolassero l’accumulazione capitalistica”.[5]

Insomma, la lotta di classe, le decisioni comunitarie contro e di fronte alle decisioni governative, hanno fatto molto di più contro la pandemia di quanto hanno fatto i governi quando hanno “ripreso il controllo della situazione”. Cosa sarebbe accaduto nella prima fase pandemica se il governo non avesse avuto l’opposizione operaia, in altri termini con una diffusione dei contagi simile alla successiva e con la letalità della prima? Probabilmente oltre centomila morti in più: tutte queste persone che devono la loro vita alle lotte operaie di quella fase. Il tutto senza contare i già citati morti extra, pur in presenza di una letalità minore, grazie alla decisione governativa di non disturbare il manovratore capitalista. Se non sono stati ancora di più lo dobbiamo solo alla ricerca medica intervenuta nel frattempo, non certo alle decisioni del potere politico che, insieme alla forma di produzione capitalistica, ha mostrato ancora una volta il suo essere alternativo alla sopravvivenza della specie umana.

Enrico Voccia

NOTE

[1] https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2021/01/31/covid-iss-la-seconda-ondata-molto-piu-letale-della-prima-oltre-50mila-morti_88253b32-ff31-43be-94dc-7bd0d3c5c3be.html .

[2] https://statistichecoronavirus.it/coronavirus-italia/ consultato il 6 giugno 2021.

[3] https://www.corriere.it/cronache/20_dicembre_22/covid-italia-piu-morti-seconda-ondata-rispetto-prima-ecco-perche-f38be642-43cc-11eb-8cde-6aa9005f150a.shtml.

[4] https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5338&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto.

[5] ANTONELLI, Tiziano, “La Repubblica Fa la Festa ai Propri Cittadini”, in Umanità Nova, n. 20, 6 giugno 2021, pp. 2-3.

[6] www.gia.pr.it%2Fdownload%2F21090%2F2016%2F07%2FLuoghi-e-comportamenti-ecco-quali-sono-i-superdiffusori-del-virus.pdf&usg=AOvVaw0NffIODk73FbXtIrqzSNoY.

[7] https://www.ilpost.it/2021/04/26/coprifuoco-efficacia-coronavirus/; https://www.youtrend.it/2021/04/19/il-coprifuoco-serve-contro-il-coronavirus/

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